Teatri

Teatri

 

Si ha notizia della presenza del teatro in Capua sin dalla fine del XVI secolo.

Risalgono, infatti, a quell’epoca le sue prime origini, come è riportato nel libro 28 dell’antica Cancelleria Comunale della città, dove si legge:

“A 25 de maggio 1594 furo deputati per li Signori Eletti li Signori Bartolomeo Frappiero e Pompeo d’Uva a spendere li 100 ducati per l’apparato delle Comedie dentro del Magazzino della Regia fortificazione della Città, da recitarnosi in quella per ricreatione de Cittadini et per disciplinare la gioventù della Città conforme all’assenso Regio”.

 

Già un mese prima dell’istituzione del teatro pubblico, il nobile capuano Pompeo della Ratta, in occasione delle nozze del figlio Francesco Antonio con Isabella Moles, figliola del reggente della città, aveva tenuto nella sua casa la recita di una commedia per il diletto degli invitati. Era il 25 aprile 1594 e questa era stata solo una rappresentazione ad uso strettamente privato.

 

Non si hanno testimonianze anteriori a questa data, ma si può ipotizzare con un certo margine di certezza che ancor prima del 1594 recite di questo genere si dovevano tenere presso le case delle nobili famiglie capuane in occasioni particolari, non fosse altro che per la presenza di tanti commediografi, che starebbero a dimostrare un’intensa attività teatrale nella città di Capua.

 

Tra gli scrittori capuani di commedie, che operavano in quegli anni e nel secolo successivo ricordiamo solo alcuni, come Carlo Noce, Ottavio d’Isa, Lorenzo Stellato e Silvio Fiorillo, autore quest’ultimo, tra l’altro, della commedia “Li tre Capitani vanagloriosi”, stampata a Milano nel 1628 e la  “La Lucilla costante con le ridicole disfide e prodezze di Policinella” ambientata proprio a Capua. Silvio Fiorillo esponente importante della Commedai dell’arte, sembra  che sia stato il primo attore a creare e a interpretare il personaggio napoletano di Pulcinella.

 

Nei libri della Cancelleria Comunale di Capua, inesauribile e preziosa miniera di notizie riguardanti la città, vengono riportate diverse commedie rappresentate nell’Apparato durante il corso del Seicento e del Settecento. Fra queste, la rappresentazione teatrale tenuta il 23 febbraio 1639 in occasione della “recuperata salute di Sua Maestà Filippo IV”.

 

L’Apparato delle Comedie, o meglio, il teatro venne completamente restaurato, su progetto dell’ingegnere Francesco Gasperi, nel 1781, come è ricordato dall’epigrafe, composta dal Can. Stefano Gaeta ed apposta al suo ingresso, che ancora si legge:

 

CAMPANORUM THEATRUM

ANTEHAC INFORME ET QUAQUAVERSUS RIMOSUM

SEXVIRI ANNI MDCCLXXXI

ANNUENTE FERDINANDO IV

REGE INDULGENTISSIMO

PECUNIA PUBLICA RESTITUERUNT

ET MENIANIS ORDINATIM ADDITIS

AD IUSTAM THEATRI FACIEM REDEGERUNT.

 

 

Per restaurare strutturalmente l’intero edificio informe e cadente ci erano volute diverse migliaia di ducati. Solo più tardi, però, nel 1786, il teatro venne completato con la creazione dello scenario, come si legge nel libro 100 della Cancelleria: “25 novembre 1786. trovandosi già terminato con la spesa di più migliaia di ducati l’opera del pubblico Teatro di questa città, si deliberava di ornarlo ancora di competente scenario colla spesa di 400 ducati”

Sappiamo ancora che, qualche anno dopo, precisamente tra il 1788 ed il 1789, il teatro capuano da poco rinnovato fu dato in fitto ad un certo Francesco Volpini ed alla sua figliola Luisa, canterina buffa.

Nel nuovo teatro, più di trent’anni dopo, il 17 gennaio 1817, il giovane Stendhal, di passaggio per Capua, assistette con gran diletto alla commedia “Le Nozze in Campagna”, che si teneva quella sera.

Così lo scrittore francese ricorda quella serata teatrale, trascorsa piacevolmente nella nostra città, nel suo diario italiano “Rome, Naples et Florence en 1817”:

“Le Nozze in Campagna”, musica scintillante di brio del freddo Guglielmi, figlio del grande compositore, sono state recitate e cantate con tutto il calore e l’affiatamento possibili da tre o quattro morti di fame, che guadagnano trenta franchi per recita”.

 

D’allora non si hanno, o meglio non siamo riusciti a trovare, notizie certe, testimonianze serie ed accettabili sull’attività di questo teatro durante tutto il corso dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento.

Si sa con certezza solo che nella seconda metà dell’Ottocento il teatro era ancora comunale e per un certo periodo venne intitolato al compositore capuano Andrea De Simone (1807 – 1874).

 

Ciò emerge da un documento che si trova nella biblioteca del  Museo Campano.

Qui, infatti, è reperibile un opuscolo dal titolo: “Documenti riguardanti Alessandro Belardinelli”, dal quale si apprende che il Belardinelli, che era pittore ed insegnava disegno presso il Liceo Classico “Pietro della Vigna” in Capua, aveva avuto l’incarico dal sindaco Salvatore Garofano di fare un ritratto ad olio del celebre musicista capuano morto l’anno prima. Tale ritratto, ormai andato perduto, fu posto nella sala del Comune di Capua. In pari data, il 29 ottobre 1875, con delibera del Consiglio Comunale al teatro comunale venne dato il nome del musicista Andrea De Simone.

 

Molto probabilmente il teatro, ridotto quasi un rudere, venne chiuso ed abbandonato alla fine dell’ottocento per riaprirsi, completamente rifatto, nella prima metà del novecento.

 

Agli inizi del Novecento, intanto, funzionava in Capua un nuovo teatro, completamente in legno, sulla cinta bastionata della città a Porta Napoli prima che il tratto sul quale insisteva il manufatto venisse abbattuto nel 1928 per dar luogo alla strada che conduce a Napoli o a Caserta.

 

In tale teatro, conosciuto col nome di “Il baraccone di don Gordiano”, i capuani potevano assistere con diletto gli spettacoli più in voga a quei tempi. Si dice che sul palcoscenico di questo teatro sui generis passassero le migliori compagnie teatrali e musicali, ed i più grandi artisti, provenienti principalmente dalla vicina Napoli.

 

Qui venivano proiettati anche i primi film muti.

Intanto, il teatro, che era rimasto abbandonato e chiuso da lungo tempo, in quegli anni veniva prelevato dal signor Arturo Ricciardi, che, a sue spese, faceva ristrutturare sostanzialmente l’edificio, affidandone i lavori all’ingegnere capuano Rodolfo Gandolfo, ottimo professionista e personaggio ragguardevole della Capua d’allora. La figlia di questo architetto, Bice, andò sposa al cugino barone Amedeo Guillet, altro illustre figura di famiglia capuana.

 

Nel 1929 i lavori di ristrutturazione vennero completati ed il teatro da quel momento prese il nome di Ricciardi, dal nome del suo nuovo proprietario don Arturo.

La facciata, dopo il profondo rifacimento compiuto dall’ing. Gandolfo, oggi appare di gusto decisamente neoclassico, caratterizzata da una loggia ionica eretta a guisa di deambulatorio al di sopra del piano attico.

 

A ricordo di questa ristrutturazione fu posta sulla porta centrale del teatro la seguente epigrafe in latino, tuttora visibile, che, all’epoca, dovette far storcere il naso non poco a qualche purista della lingua dei nostri padri, per avere l’estensore tradotto anche i cognomi del proprietario e dell’architetto, autore dell’opera di rifacimento:

 

CAMPANORUM THEATRUM

ITERUM VETUSTATE ET ADVERSIS CONFECTUM

AD MAGNA UBICUMQUE INCITANTIUS EXEMPLO

FASCIBUS LICTORIIS

SUB REGE V.E.III

ARTURUS RICCIARDIUS CAPUANUS VIR EMIT. A.D. MCMXXIX

ET AERE SUO FUNDAMENTIS POST ANNOS CL

ARCHITECTO RODOLPHO GANDOLPHO CAPUANO

PATRIAE AMORE PARITER ET ARTIS AFFLATO

RENOVAVIT ET EXORNATIM RESTITUIT.

 

Così rinnovato, sulle tavole del suo palcoscenico passarono i migliori attori ed i più grandi cantanti lirici e di musica leggera. Nel 1932 il grande Luigi Pirandello portò sulle scene “Sei personaggi in cerca d’autore” con la compagnia dell’indimenticabile Marta Abba.

 

Da quel momento il teatro Ricciardi divenne il salotto di Capua, il centro di richiamo culturale di tutta la provincia. Sul suo palcoscenico si alternarono per lunghi anni le compagnie teatrali più conosciute e più richieste. Vennero, per la gioia dei capuani amanti del bel canto, rappresentate opere liriche ed operette; venne spesso usata la sala per veglioni e cotillons, nei quali partecipavano la gente bene e gli ufficiali delle varie caserme allora esistenti nella nostra città. Ma, sin dai primi tempi, non fu solo teatro, perché qui venivano proiettati anche film, che, con l’avvento del sonoro, rappresentavano sempre più un forte richiamo di pubblico.

 

Poi venne la guerra e le cose cambiarono.

 

Durante l’occupazione il teatro venne requisito dalle autorità alleate per uso delle truppe di passaggio per Capua. Pare che in quel periodo qui cantasse, per intrattenere i suoi commilitoni, un soldatino sconosciuto che rispondeva al nome di Frank Sinatra e che, da lì a poco, sarebbe diventato l’indimenticabile“ voice” del panorama musicale mondiale.

Nell’immediato dopoguerra un eccezionale Beniamino Gigli, dal palcoscenico del nostro teatro, mandò in visibilio i capuani, interpretando magistralmente la “Bohème” di Puccini.

 

Fu il canto del cigno questo, perché in quegli anni il nostro glorioso teatro cominciò ad essere utilizzato solo come sala cinematografica. In quei tempi raramente si aveva occasione di assistere ad uno spettacolo teatrale, se si esclude un periodo in cui venivano, a cadenza settimanale, compagnie d’avanspettacolo di un certo livello, che richiamavano gente anche dai paesi limitrofi.

 

Non bisogna con questo colpevolizzare i nuovi proprietari, i signori Francesco Prignano e Mario Barducci, che nel frattempo erano subentrati nella proprietà a Don Arturo Ricciardi nel 1946.

Altri erano i tempi, altri erano i gusti!

Non mancarono, però, neppure in questo periodo, che può sembrare buio, cosa in realtà non vera, spettacoli d’elevato spessore, come, ad esempio, la presenza, sulle scene del teatro Ricciardi, di grandi orchestre sinfoniche, in occasione del Centenario della nascita del nostro Giuseppe Martucci nel 1956.

 

da “CURIOSITA’ E DIVAGAZIONI STORICHE : IL TEATRO RICCIARDI”

di Giulio Cosco