basilica sant'anelo in formis

L’abbazia di Sant’Angelo in Formis

Risalente al sesto secolo, l’abbazia di San Michele a Sant’Angelo in Formis, frazione del Comune di Capua, è uno degli esempi più maestosi dell’arte medievale nostrana, nonché manifesto della stratificazione culturale che coinvolse il nostro territorio fino all’undicesimo secolo; e infatti la basilica non sorge dal nulla, bensì da un antico tempio dedicato a Diana, dea della caccia, e molti degli elementi di questa antichissima struttura furono “riciclati” per dare alla chiesa l’ossatura che doveva caratterizzarla fino al XII° secolo, periodo della ricostruzione. Evidenti, inoltre, gli influssi bizantini, per quanto concerne l’iconografia e l’utilizzo di colonnine dipinte, atte a schematizzare le scene bibliche raffigurate sulle navate.

Non è un caso che l’edificio sia stato consacrato al culto di San Michele: l’arcangelo guerriero era certamente una delle figure più rappresentative per un popolo di combattenti come quello longobardo. Anche il duomo di Casertavecchia, d’altra parte, è dedicato a San Michele.

La chiesa abbaziale di San Michele ha la dignità di basilica minore. “Basilica minore” è una denominazione onorifica che il papa concede, tramite un breve apostolico, a edifici religiosi cattolici particolarmente importanti.

La struttura, nel complesso, è semplice e trasuda lo spirito di genuina religiosità proprio dell’alto medioevo: vi sono tre navate, quella centrale è più larga e lunga rispetto a quelle laterali, proprio come a Casertavecchia, e tutte e tre terminano con un abside; non vi è un transetto e le colonne, con capitelli corinzi, residui dell’antico tempio, formano arcate ogivali. Il campanile si trova sul lato destro della struttura; quest’ultimo dettaglio, inoltre, è indizio del rifacimento di cui parlavamo prima: in una miniatura del 1072, infatti, la torre campanaria era raffigurata sul lato opposto, proprio come aveva deciso Papa Vittore III, al secolo Desiderio di Montecassino. Gli elementi più interessanti dell’edificio, tuttavia, sono i suoi meravigliosi cicli di affreschi, presenti sia all’interno che all’esterno.

Ma andiamo per ordine: non appena si varca la soglia del semplice portale benedettino, la vista è colpita dall’affresco del Cristo Pantocratore, il quale campeggia sulla navata centrale e domina l’intera basilica; sormontata dalla corona dello Spirito Santo ed affiancata dai simboli dei quattro evangelisti, la figura del Cristo è quasi inespressiva, nonostante un lieve rossore e la presenza di rughe.

Sulla controfacciata, ovvero in corrispondenza dell’uscita, invece, è rappresentato un Giudizio universale, non a caso: le immagini dell’inferno e del paradiso, infatti, fungevano da monito ed incoraggiamento nei confronti del fedele, il quale, finita la funzione, lasciava l’edificio con la consapevolezza di poter salvare o dannare la propria anima. Ancora una volta il protagonista dell’affresco è Cristo. Sebbene il dipinto non sia in condizioni ottimali, salta agli occhi una particolarità, tipica delle chiese romaniche e gotiche: il Cristo è inscritto in una mandorla.

Come mai? La mandorla, sin dall’antichità, era considerata simbolo di abbondanza, ma fu adottata dalla liturgia cristiana per ragioni geometrico-esoteriche: incrociando, infatti, due cerchi con lo stesso raggio, rappresentanti, forse, l’unione fra il mondo divino e quello terrestre, si ottiene una figura ogivale in cui è inscrivibile un pesce, il simbolo di Cristo. La mandorla, quindi, è detta anche Visica Piscis. Probabilmente, i primi cristiani la adottarono come simbolo di riconoscimento con lo scopo di proteggersi dalle persecuzioni.

Sulle pareti della navata centrale vi sono due registri di affreschi rappresentanti scene del Nuovo Testamento; i dipinti della navata laterale, purtroppo, sono molto danneggiati e vi si possono distinguere 14 scene dell’Antico Testamento e, nello specifico, dei libri della Genesi, dell’Esodo e, infine, dei Giudici, da cui è tratta la storia di Gedeone.

La facciata in muratura è a salienti ed è supportata da cinque archi acuti; sulla trabeazione che sovrasta il portale, campeggiano due affreschi, rappresentanti Maria Regina e San Michele.

Oggigiorno, la basilica di San Michele continua a dominare lo scenario del Tifata, il sacro monte di Diana, offrendo a chiunque l’esperienza di compiere un millenario viaggio nel tempo, fra secoli di storia e religiosità. L’arte è immortale, sopravvive agli uomini, e questo nostro tesoro ne è testimonianza.