Il regista Raffaele Verzillo si racconta al Capua il Luogo della Lingua

Il regista Raffaele Verzillo si racconta al Capua il Luogo della Lingua

da il Mattino a cura di Mariamichela Formisano

 

Al Circolo dei lettori di Capua e Mater bistrot – Cose d’Interni Libri il regista Raffaele Verzillo si è raccontato al pubblico e alle telecamere del nuovo format Live Talk Show Podcast di Capua il Luogo della Lingua festival, condotto da Mirko G. Rauso. Un viaggio attraverso i ventotto anni di professione che lo hanno visto dietro le telecamere di fiction come “Un medico in famiglia”, di film come “100 metri dal Paradiso”, “Senza fiato”, e il documentario “Massimo, il mio cinema secondo me”, un’intervista inedita del 1993 che traccia un prezioso ritratto di Massimo Troisi.

 

 

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Ma Raffaele Verzillo, nato a Santa Maria Capua Vetere nel ’69 e trasferitosi a Roma per inseguire il suo sogno nel cinema, lancia al futuro il guanto di sfida. «Professionalmente mi manca un po’ di sperimentazione – ha sottolineato – e oggi, nella maturità, mi piacerebbe fare percorsi in tale direzione».

 

E su quanto e come sia cambiato il cinema negli ultimi trent’anni, Raffaele Verzillo ha commentato: «Ho notato una evoluzione in meglio, sotto tutti i punti di vista.

Molto ha contribuito la riforma contrattuale, che ha consentito ai lavoratori del cinema di avere una dignità più alta rispetto a quello che era prima. Ma ancor più ho notato un miglioramento della qualità culturale in generale. Quando ho iniziato io, infatti, il livello dei laureati era ai minimi termini, mentre adesso anche i nuovi assistenti alla regia, gli stagisti, hanno tutti una provenienza universitaria. Non che questo sia fondamentale, ovviamene, ma ritengo che la capacità analitica e critica che dà l’Università, te la porti in qualsiasi lavoro andrai a fare. Ed è questo che, secondo me, alza la qualità di tutto».

 

Sei andato via dalla tua terra per andare a cercare la tua strada altrove. Quanto questo viaggio ti ha arricchito e quanto ti ha depauperato?
«Più che depauperato mi ha ferito, perché mi ha allontanato dalla zona di comfort fatta di amici, interessi, che sarebbe stato bello portare nel mio lavoro. Ma è anche un viaggio che mi ha arricchito perché una realtà complessa come Roma ti apre la mente e ti riempie. Però, quando posso, torno a casa dove ho la mia famiglia, gli amici, che sono per me ossigeno».

Oggi è ancora necessario andare via da questa terra per fare cinema?
«Sì in parte. C’è chi è andato via come me, e chi come Tony Servillo o Marco D’Amore, è rimasto. Certo è che l’industria del cinema è a Roma, e l’esigenza di spostarsi è più che altro tecnica. Ma ultimamente anche Napoli sta facendo passi da gigante nel mondo del cinema e della fiction. Bisogna però stare attenti perchè non è tanto importante dove si fanno i film, ma dove nascono. E le produzioni, i lanci, stanno tutti a Roma. Bisogna quindi lavorare per formare un’industria del cinema a Napoli, ma per questo ci vuole tempo».

Se dovessi tu raccontare la tua terra, quale linguaggio sceglieresti?
«Quello della commedia romantica. La nostra terra viene spesso raccontata con toni drammatici, mentre conserva forte il valore degli affetti, della famiglia, dell’amore. Ecco perchè secondo me  un bel circolo di commedia romantica ci starebbe bene».

 

 

 

 

 

 

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