Chiesa e Convento di Santa Caterina

Chiesa e Convento di Santa Caterina

 


La chiesa è ubicata nella piazza S. Francesco, nel luogo detto della Limata.

 

Essa fu costruita, in sostituzione della chiesa di S. Nicola ad Flumen, insieme all’annesso convento, nel 1383. Nel 1420, poi, passò ai padri Francescani; a questo periodo risale la realizzazione del chiostro, ma nel 1510 l’intero complesso conventuale venne ristrutturato ed il chiostro stesso venne rifatto nelle forme attuali. Alcune strutture angioine presenti nella zona presbiteriale e nell’abside poligonale testimoniano però la più antica data di fondazione. In particolare, l’abside poligonale ricorda quella della chiesa Donnaregina vecchia a Napoli. All’esterno della facciata è caratterizzata da un doppio ordine di aperture, di diversa altezza. Il primo comprende tre arcate su pilastri: di queste la centrale, a sesto ribassato, ha dimensioni maggiori rispetto alle due laterali; il secondo ordine presenta lo stesso tipo di configurazione ad arcate, ma di minore altezza. Un cornicione segna il limite di questo secondo ordine, al di sopra del quale si eleva un grosso timpano triangolare con un’apertura ovale al centro.

 

L’interno si presenta a tre navate, di cui quelle laterali sono state aggiunte nel corso dei lavori di ristrutturazione dei primi del Cinquecento, tenendo presenti le esigenze cultuali e delle numerose famiglie che ne acquisirono le cappelle, che non l’organismo strutturale e spaziale della chiesa. Particolarmente interessante appare la successione delle coperture a volta nel transetto e dell’abside: il transetto è sormontato da una volta a crociera, mentre l’abside da un intreccio di volte a crociera e ad ombrello, secondo una soluzione analoga a quella del S. Lorenzo di Napoli, anch’essa di fondazione angioina.
Rimarchevole appare l’arredo interno della chiesa: l’altare con le sculture laterali raffiguranti teste di putti, le mensole con intarsi marmorei e le numerose lapidi presenti, per la maggior parte datate. Tra queste si ricordano le iscrizioni riguardanti la famiglia dell’architetto militare Ambrogio Attendolo e le cappelle appartenenti alle famiglie gentilizie di Capua.

 

 

Il chiostro svolge un sobrio disegno tipicamente manierista, con ventidue colonne doriche (5×8) su alti piedistalli, istoriati con gli stemmi delle famiglie che hanno contribuito all’edificazione. Tra essi vi è anche quello della città di Capua. Nella più modesta proporzione, esso ripete lo schema di alcuni chiostri napoletani, come quelli di S. Maria la Nova, della certosa di S. Martino, di S. Gregorio Armeno o di S. Marcellino, nei quali ultimi è conservato il deambulatorio superiore, che accresce la luminosità del recinto. Un pozzo a disegno mistilineo realizzato anche con l’apporto di elementi di spoglio (le due colonne di cipollino) ne segna il centro; è verosimile che lo spazio interno sia stato sempre pavimentato o sistemato assai semplicemente a prato, come nell’analogo chiostro dei PP. Carmelitani, con il quale ha una stretta affinità, a meno del deambulatorio superiore, lì sostituito, forse successivamente, da ambienti coperti.

 

La fortuna di questa soluzione di spazio claustrale, testimoniata già a Capua, da almeno due esempi, si estende, tra i primi decenni del Cinquecento e la seconda metà del secolo, in tutto l’ambiente campano, nell’avellinese e nel salernitano, dove numerosi sono gli esempi analoghi.
I portali di accesso agli ambienti del monastero -oggi in gran parte adibito a collegio femminile e tra le poche presenze conventuali a Capua ancora vive e serenamente attive- hanno ornie a fascia girata, con ampio architrave con rosette terminali e scanalature baccellate di tipo ionico. Disegno questo consueto anche nell’ornamentazione di finestre e portali e tipico dei lapicidi locali, che replicano evidentemente, in proporzioni più grossolane, un modello toscano e poi napoletano.